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Trekking e Spirito

Durata:              13 Days

Grad:o               Easy 

Altitude:            800m 

 

 

Giorno 01: Arrivo a Kathmandu [1,300m]

Giorno 02: visita a Kathmandu/Bhaktapur

Giorno 03: Volo a Pokhara e Trekkingking sino a Tikhendhunga [1,552m]: 4-5 ore

Giorno 04: Trekkingking da Tikhedhunda a Ghorepani [2,750m]: 6-7 ore

Giorno 05: Trekkingking da Ghorepani a Taapani [1,190m]: 5-6 ore

Giorno 06: Taapani a Ghasa [2,110m]: 5-6 ore

Giorno 07: Ghasa a Marpha [2,680m]: 4-5ore

Giorno 08: Marpha a Kagbeni [2,810]: 4-5 ore

Giorno 09: Kagbeni a Muktinath [3,710m]: 5-6 ore

Giorno 10: Muktinath a Jomsom [2,715m]: 5-6 ore

Giorno 11: Volo da Jomsom a Pokhara by flight

Giorno 12: Bus sino a Kathmandu

Giorno 13: Partenza per l'Italia o altra destinazione/escursione.

 

 

C’è un posto molto speciale arroccato a quasi 4000 metri sull’Himalaya nepalese, in un punto dove cielo e terra paiono toccarsi, complice l’aria adamantina delle montagne più alte e spettacolari del mondo. Si chiama Muktinath ed è un villaggio che ospita un grappolo di case e lodge per visitatori e pellegrini, e poco più su, l’omonimo complesso templare. Ed è proprio fra questi padiglioni che accorrono ogni anno migliaia di fedeli buddhisti e induisti.

 

Tra mito e leggenda

 

Muktinath è da secoli nel cuore di una folla di devoti per la sua straordinaria stratificazione di storia e di senso. Non presenta una maestosità architettonica, perché l’Himalaya parla il linguaggio della semplicità montana, ma ha in serbo una potenza tutta simbolica. Appena giunti, colpisce la presenza di un boschetto di pioppi, del tutto anomalo a quell’altitudine. Il mito vuole che quegli alberi fossero un tempo i bastoni da pellegrini degli ottantaquattro grandi siddha, mistici che le pratiche ascetiche e lo yoga dotarono di poteri sovrannaturali, i “perfetti realizzati” secondo la tradizione del Buddhismo tantrico: personaggi leggendari che in un tempo remoto e indefinito attraversarono il Nepal in viaggio dall’India verso il Tibet. E qui, a Muktinath, meditarono a lungo e lasciarono i bastoni, che un prodigio tramutò in alberi secolari. Oltre il boschetto miracoloso si aprono i padiglioni. Uno è dedicato al Buddha della compassione, Avalokiteshvara, figura centrale del Buddhismo mahayana, corrente che dall’India si propagò in molti Paesi dell’Asia. Il tempio ne custodisce una statua, ma anche l’impronta del piede a testimonianza del suo passaggio. E proprio Avalalokiteshvara è una delle chiavi per comprendere la religione nepalese, in cui confluiscono varie tradizioni. "In Tibet Avalokiteshvara diventa, infatti, la divinità Chenrezig, in Nepal il dio Machendra, protettore delle montagne, che gli hindu a loro volta considerarono un aspetto di Shiva".

Accanto alla sua immagine sta quella di Guru Rimpoche, figura divinizzata che la tradizione indica come colui che diffuse il Buddhismo in Tibet nel XII secolo. Poco distante c’è una pagoda che custodisce una scultura in bronzo di Vishnu, divinità del pantheon hindu. Vishnu ha un legame antichissimo con questo fazzoletto di terra in alta quota. Perché nel “Mahabharata” (grande poema epico-religioso indiano risalente a 2500 anni fa) si fa riferimento a Muktinath con il nome di Salagrama: un termine che indica un luogo geografico, ma anche un tipo di fossile di conchiglia che ancora oggi è facile trovare in questa zona del mondo che, in ere geologiche precedenti, era un oceano. Nella pietra fossile abita, secondo la tradizione hindu, il dio Vishnu, capace di assumere di volta in volta forme naturali diverse come dono all’umanità.

L’interconnessione di Buddhismo e Induismo è un tratto tipico del Nepal. Con grande rispetto reciproco e nessun desiderio da una parte o dall’altra, neppure in passato, di proselitismo. A Muktinath si tocca con mano la convergenza di queste due grandi religioni. Si sorridono tra loro i tanti pellegrini che salgono lenti verso il complesso templare, i sadhu (sant’uomini indiani) che arrivano a piedi direttamente dall’India dopo mesi di cammino, i monaci buddhisti nelle tuniche amaranto, i laici occidentali o asiatici desiderosi di entrare in contatto con questa forma di spiritualità unica. E tutti arrivano qui, in uno dei sancta sanctorum più venerati dell’intera catena himalayana. Le divinità li accolgono, la natura li avvolge con la forza di una bellezza primordiale.

 

I luoghi sacri, in questo scorcio sul tetto del mondo, non vivono solo di storia e simboli, ma anche di rapporto intenso con la natura circostante, straordinaria e incontaminata. Non è un caso che nel complesso templare di Muktinath il senso del sacro emani anche dall’ambiente montano. Per esempio, dall’acqua cristallina che sgorga dalle 108 fonti a forma di testa di toro, allineate ad arco intorno al tempio di Vishnu. I pellegrini vi compiono i riti di purificazione per ripulire l’anima dagli effetti negativi del karma. Un altro tempietto custodisce una fiammella perenne così che il luogo è visto come convergenza di tutti gli elementi della natura: l’acqua, l’aria rarefatta, il legno degli alberi magici, il fuoco, la dura roccia.

Un tuffo in un contesto strepitoso è anche il percorso fino a quei 4000 metri. Un itinerario da snocciolare con lentezza. Si parte dalla base di Jomoson (dove si può arrivare in aereo), e via via, da lì, si percorrono i sentieri tracciati con cura fino a un altipiano che si apre sterminato sul massiccio dell’Annapurna: è la parte alta della valle scavata dal fiume Kali Gandaki, che oggi si presenta come un oceano di pietre scintillanti al sole, solcato da torrenti da guadare a cavallo, percorso da ponti in legno e corda oscillanti al vento, disseminato delle conchiglie-dio Vishnu che scricchiolano sotto gli scarponcini di trekker e pellegrini. Vicino si erge il Dhaulagiri, una delle vette da 8000 metri dell’Himalaya: imponente, infinito verso il cielo anche a guardarlo dai quasi 3000 metri della valle. Dona pace e serenità, ma incute anche soggezione mista a stupore, e ammirandolo si comprende perché chi abita qui da sempre lo consideri sacro al pari di tutte le altre montagne della catena, un dio immenso, imponente.

Camminando si incontrano i pochi villaggi sui monti che ospitano anche le guest house per i viaggiatori, in modo da consentire soste di una notte per l’acclimatamento graduale all’altitudine. Ciascuno ha il suo piccolo monastero tibetano, il gompa, dove i monaci vivono una vita di preghiera, ridotta al minimo dei bisogni. A Marpha, Kagbeni, Jarkot, tutti paesi da poche case di pietra, i gompa sono semplici strutture dai colori caldi, squadrate, circondate dalle ruote di preghiera e dai lunghi fili di bandierine colorate, con all’interno semplici statue di divinità, ma anche preziosi mandala e stupa (la struttura a cono che simbolicamente contiene reliquie del Buddha, in tibetano chiamata chorten).

I Lama, i monaci buddhisti del Tibet presenti qui a causa della diaspora tibetana, accolgono volentieri i visitatori. Li invitano a condividere la lettura cantilenante dei sutra o le sedute di meditazione. Quella forma di meditazione del Buddhismo tibetano che consiste nel cercare di sviluppare due aspetti essenziali dell’insegnamento. La non violenza e la compassione sostenuta dalla saggezza. Meditare è risvegliare queste conoscenze. Ci si siede a gambe incrociate, con la spina dorsale diritta, gli occhi chiusi o socchiusi, le spalle perpendicolari alla spina dorsale, le braccia rilassate, le mani sul grembo con la sinistra che sostiene la destra e i pollici leggermente uniti; la testa un po’ in avanti e la lingua appoggiata sul palato. In questa posizione si rilassa il corpo ponendo l’attenzione al respiro. La mente si calma per indirizzarsi verso la conoscenza; pensiero e respiro si connettono. Poi è più facile riprendere il cammino, con una percezione più acuta. Più facile è cogliere i segni della sacralità sparsi ovunque a lato dei sentieri, in forma di piccoli chorten composti solo da mucchietti di pietra appoggiati dai devoti o di OM scolpiti sulle rocce o, ancora, di bandierine svolazzanti. E si capisce di essere in viaggio nelle dimore stesse degli dei.


 

Questo è l’Himalaya per buddhisti e induisti, per gli sherpa e i contadini dei villaggi. Il trekking qui non è un semplice salire verso la meta, ma qualcosa di più profondo: un’ascesa verso regni interiori più elevati.

Trekking pellegrinaggio a Muktinath 

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